Denatalità in Italia: riflessioni di un cardiologo pediatra
Gennaio 2022 Off Di Giovanni BrancatoBruno Marino Taussig De Bodonia
Dipartimento Materno infantile e Scienze urologiche
In Italia nelle ultime decadi si è assistito ad una costante e progressiva riduzione delle nascite. I dati del rapporto annuale Istat confermano che anche nel 2020 c’è un nuovo superamento, al ribasso, del record di denatalità con un calo nell’ultimo decennio di quasi il 30%. Nel 2020 in Italia i nati sono stati 404.892 pari a -15 mila rispetto all’anno precedente ed il numero medio di figli per donna scende nel 2020 a 1,24. Il clima di incertezza generato dalla pandemia e le restrizioni legate al lockdown sembrano aver ulteriormente contribuito alla scelta di rinviare il concepimento ed i dati provvisori forniti dall’osservatorio Istat confermano un trend drammaticamente negativo anche per il 2021. La contrazione delle nascite è condizionata oltre che da motivazioni sociologiche anche da cambiamenti nella composizione della popolazione femminile in età feconda, fissata per convenzione tra 15 e 49 anni.Le donne italiane che rientrano in questa fascia di età sono infatti sempre meno numerose.
L’evoluzione della natalità e le scelte riproduttive del nostro paese sono inoltre fortemente condizionate dall’età delle madri. L’Italia è infatti caratterizzata da una popolazione che diventa genitore sempre più tardi. Il rinvio dell’esperienza riproduttiva delle donne italiane verso età sempre più avanzate ha fatto sì che l’età media alla nascita del primo figlio si attesti a 31,4 anni nel 2020 (oltre 3 anni in più rispetto al 1995) mentre il numero medio di figli per donna calcolato per generazione continua a decrescere (pari ad 1.24 nel 2020).
Sulla base di tali presupposti è interessante notare come la riduzione delle nascite avvenga in contemporanea anche ad un cambiamento della distribuzione epidemiologica delle malformazioni congenite ed, in particolare, delle cardiopatie congenite (CC). Le CC rappresentano i più comuni difetti congeniti ed, in Italia, circa un neonato ogni 100 nati vivi presenta tale difetto (pari in Italia a circa 4000 neonati l’anno). Lo spettro di severità delle CC varia da difetti lievi fino a cardiopatie molto complesse e la severità del quadro influenza profondamente anche il decorso clinico. Circa il 25% delle CC sono considerate cardiopatie congenite critiche (CCC) che richiedono un trattamento chirurgico o medico urgente per assicurare la sopravvivenza e sono causa della maggior quota di mortalità e morbidità correlata. In caso di CCC il progresso delle tecniche cardiochirurgiche ha permesso di raggiungere una sopravvivenza a 12 mesi superiore al 90% con outcome drammaticamente migliorati.
I notevoli miglioramenti delle tecniche di diagnosi prenatale hanno comportato un costante miglioramento della definizione diagnostica e prognostica delle CC consentendo di programmare l’evento nascita in centri di riferimento, riducendo significativamente la mortalità e morbilità di queste emergenze neonatali. Dall’altro lato però l’utilizzo di tecniche di diagnosi prenatale sempre più accurate si associa di fatto ad un aumento delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) che comportano inevitabilmente un cambiamento della prevalenza e dei pattern globali delle CC nei nati vivi.
Nelle ultime decadi vi è stata infatti una progressiva riduzione in termini di prevalenza delle CC complesse di circa il 30%, legata soprattutto al miglioramento della sensibilità diagnostica della diagnosi prenatale ed all’aumento delle IVG. Al contrario, la prevalenza delle CC semplici e meno gravi è incrementata come possibile conseguenza degli aumentati tassi di riconoscimento di tali difetti in epoca postnatale.