Il calo delle nascite in Italia e la “trappola demografica”
Gennaio 2022 Off Di Giovanni BrancatoAlessandra De Rose
Dipartimento di Metodi e modelli per l’economia, il territorio e la finanza
È ormai da qualche anno che l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) ci segnala il raggiungimento di un nuovo record negativo delle nascite in Italia: culle sempre più vuote, famiglie sempre più piccole, popolazione in declino, insomma l’inverno demografico. Negli ultimi due anni, poi, ci si è messo anche il Covid-19: contrariamente a chi sperava che, nella disgrazia della costrizione del lockdown, la maggiore frequentazione tra coniugi producesse qualche lieto evento, le nascite sono ulteriormente diminuite.
Nessuna sorpresa invece da parte dei demografi, che da lungo tempo – inascoltati – mettono in guardia sulle dinamiche in atto nel nostro paese. La storia della denatalità, infatti, non è un fenomeno recente, ma parte da lontano, dalla fine del secolo scorso, e le sue motivazioni hanno radici profondamente ancorate nel passato.
In 50 anni siamo passati da oltre un milione di nascite nel 1964 (in pieno baby boom) a poco più di 500.000 nel 2014. A parte una lieve ripresa avvenuta nella prima decade del nuovo Millennio, che va attribuita in gran parte al contributo delle nascite da genitori di cittadinanza non italiana, il numero di bambini nati ogni anno è sempre diminuito fino a sfiorare le 400.000 unità nel 2020.
La contrazione delle nascite ha due componenti: da un lato, la fecondità, cioè la propensione delle donne e delle coppie ad avere figli, espressa in termini di numero medio di figli per donna, che si è costantemente ridotta dal Secondo dopoguerra in poi arrivando a 1,24 nel 2020, ben al di sotto del valore che assicurerebbe il rimpiazzo delle generazioni (2,1 figli per donna); dall’altro, il numero di potenziali genitori, che si è ridotto nel tempo, perché la bassa fecondità del passato ha portato ad una contrazione progressiva delle generazioni di uomini e donne in età riproduttiva. Oggi sono nel pieno dell’attività riproduttiva – tra i 20 e i 40 anni – i pochi nati negli anni ’80 e ’90, che continuano a loro volta ad avere una bassissima fecondità. Pochi genitori con bassa propensione ad avere figli producono anno per anno un numero sempre più basso di bambini. In sintesi, siamo nella “trappola demografica”.
Il calo secolare della fecondità si lega ai grandi cambiamenti di modernizzazione, di emancipazione della donna, di nuovi orientamenti ideologici e culturali, che hanno interessato tutti i paesi occidentali, inclusa l’Italia, e che sono da considerarsi incontrovertibili e non negoziabili. Tuttavia, nel nostro paese, diversamente che in altri paesi occidentali, la fecondità persiste su livello molto bassi.
Ciò si spiega con la difficoltà ad accompagnare questi cambiamenti con opportuni sistemi di protezione delle famiglie, di conciliazione lavoro-famiglia, di servizi adeguati. Inoltre, i tempi per il raggiungimento dell’autonomia da parte dei giovani sono sempre più lunghi e i percorsi di ingresso nella vita adulta e nelle responsabilità genitoriali sempre più complicati.
La crisi economica dal 2008 e ora la pandemia da Covid-19 hanno ulteriormente scoraggiato le coppie ad avere figli o le hanno costrette a rinviare i piani, soprattutto quelli dei giovani, che hanno intanto rimandato il matrimonio, ridottisi nel 2020 del 70% rispetto all’anno precedente.
Sarà molto difficile uscire rapidamente dalla trappola demografica ed è chiaro che qualunque provvedimento, anche il più illuminato e generoso, non potrà avere un effetto immediato sulla ripresa delle nascite. Il declino demografico e l’invecchiamento strutturale che esso comporta non potranno fermarsi nel breve periodo. Esso, tuttavia, non deve preoccupare tanto, o non solo, per le conseguenze nefaste sul sistema di welfare e produttivo, ma soprattutto perché è un segnale di un profondo malessere sociale: mai come in questo periodo il numero desiderato di figli è molto al di sopra di quello realizzato, segno che esiste uno spazio per una possibile ripresa dei progetti riproduttivi purché, però, venga ristabilito al più presto e in modo duraturo un clima di fiducia e vengano fornite prospettive concrete soprattutto alle più giovani generazioni.