La prima Medicina è un medico sapiente
Maggio 2020 Off Di Giovanni BrancatoMichele Mirabella
Regista, attore, conduttore e autore televisivo e teatrale
I bizzarri casi della vita mi pongono in una condizione d’arruolamento forzato nei ranghi della “Medicina” dove armeggio con una curiosità quasi adolescenziale e con la soddisfazione di veder declinare la mia ipocondria che si arrende di fronte allo squadernare esagerato dei malesseri che potrei accusare.
Come, forse, qualcuno sa, lavoro in televisione, Rai tre, ad un programma dedicato alla salute, alla conoscenza della salute e dei mezzi per conservarla e difenderla: prende le mosse dal glorioso Elisir, una trasmissione, sempre di RAITRE di prima serata e non solo, dedicata alla divulgazione medica e fondata sul tentativo di aiutare tutti a “vivere meglio” come recitava il blando slogan promozionale. Anche oggi, il fine non è spingere ad essere sani, belli e felici a tutti i costi, posto che quest’ambizioso programma sia proponibile nel breve errore della vita, perché ho sempre ritenuto che salute e malattia siano componenti ineluttabili dell’esistenza umana, così come ci piace tanto trascorrerla, così com’è, insomma.
Questa mia fatica, fatica d’uomo, è condivisa da tutti coloro che, con mente aperta, si rivolgono ai medici non come ad alteri sciamani depositari di saperi iniziatici, ma come a “tecnici” capaci di elaborare varie arti alte e di decifrare il linguaggio e il sistema del corpo.
E la notizia è questa, che ribadisco con una vecchia considerazione aristotelica: che la medicina non è una scienza rigorosa, ma una tecnica, un’arte, che rende capaci coloro che la conoscono di praticare altre arti e molte scienze.
Tecnica. Parola che, sin dalla sua origine, comprende un complesso di regole necessarie a svolgere un’attività. Tanto più queste regole saranno armonizzate in un insieme articolato e dettagliato, tanto più sarà efficace la realizzazione del progetto. Nel Corpus Hippocraticum hanno uno spazio ingente le descrizioni delle tecniche diagnostiche e soprattutto chirurgiche. Basti pensare alla larga trattazione di quelle che Ippocrate chiama “le ferite alla testa” e, cioè, la trapanazione del cranio e alla metodica (altra parola su cui dovremmo indagare) della riduzione di slogature e fratture che va sotto il nome di “Articolazioni”.
Nella “Etica Nicomachea” Aristotele pose una differenza fra due forme di azioni: la tèkne (che è al servizio degli altri), e la praxis (che ha il proprio scopo in se stessa). La tèkne non è diversa dall’arte o dalla scienza perché anche questa tende a conseguire uno scopo, né da qualsiasi altro procedimento, o operazione volta al conseguimento di un effetto qualsiasi, ed il suo campo si estende a tutte le attività umane.
La medicina è, dunque, una pratica basata su scienze e che si esercita in un mondo di valori. È un’arte lunga, una tèkne makré, che conta, come medicina laica, due millenni e mezzo di vita. Questa tecnica e arte, nata con Ippocrate, intrattiene da sempre un rapporto stretto, istituzionale, statutario, con l’informazione.
Prendiamo in considerazione, anzitutto, quella originaria, l’informazione che, 2000 anni fa come oggi, viene dal paziente, un’informazione che deriva dai suoi sintomi soggettivi, comunicati al medico tramite l’ascolto da parte di questi della sintomatologia e della storia narrate al malato, e che deriva dai segni oggettivi della malattia, trasmessi cognitivamente attraverso l’esame obiettivo e tramite l’esercizio della tecnica sensoriale e strumentale di cui il medico disponeva e dispone. Si tratta di un’informazione primaria, prioritaria, fondamentale, che è nello stesso tempo intersoggettiva e oggettivante, legata per un verso a un vissuto elaborato dall’anamnesi e per altro verso a un linguaggio del corpo elaborato dall’approfondimento diagnostico.
Da questa prima fase che possiamo definire di “inferenza induttiva”, nel senso che l’informazione nasce e cresce per apporto progressivo di elementi di conoscenza empiricamente dati e accumulati per induzione dal particolare al generale , si passa a una seconda fase che possiamo definire di “interpretazione deduttiva” e che muove dal generale al particolare, una fase in cui all’informazione dal paziente fa seguito l’informazione sul paziente, acquisita confrontando i dati posseduti con un quadro di riferimento consegnato alla trattatistica e noto al medico attraverso lo studio e l’aggiornamento. In questo passaggio il paziente diventa un caso clinico, il suo caso si inscrive in una casistica, la casistica si riferisce a una tipologia e l’informazione, da patrimonio duale di medico e paziente, si trasforma in patrimonio “plurale” condivisibile con altri medici, validabile da un lavoro in equipe, archiviabile in una memoria trasferibile, tramandabile, comparabile, controllabile. In altre parole, una cultura condivisa.
Ma l’informazione, nata dal paziente e incrementata dai rilievi sul paziente, ritorna al paziente attraverso canali di comunicazione adeguati a garantirgli autoconoscenza, ad acquisirne il consenso, a rendere consapevole e responsabile la sua compartecipazione al rapporto e al processo di cura. Appartengono a questa terza fase i momenti topici della verità al malato, del consenso informato, dell’educazione allo stile di vita, dello stimolo all’autoeducazione sanitaria. L’informazione al paziente culmina qui nell’informazione per il paziente, cioè in un atto già per sé terapeutico, che potremmo vedere rispecchiato nell’antico aforismo: “il buon medico è la prima medicina”.
In tutto questo lungo percorso, medico e storico, l’informazione risulta per così dire intrinseca all’esercizio del sapere e del potere da parte del medico, omogenea alle sue conoscenze e ai suoi modi di fare, congruente e integrata organicamente alla sua professione, applicata a controllare l’osservanza e l’inosservanza di regole diagnostiche e terapeutiche codificate dalla comunità medica (oppure anche a controllare l’osservanza e l’inosservanza delle norme di corretta gestione della spesa sanitaria).
Oggi come ieri, oggi come sempre e anzi oggi sempre di più, l’informazione inerisce alla medicina per intima appartenenza e per diretta influenza.
Non ci resta che studiare anche correndo il rischio di intrappolarci nella crisi di ipocondria di cui narra Jerome K. Jerome in “Tre uomini in barca”: leggendo un’enciclopedia medica, crederemo di avere tutti i mali di cui si tratta in quelle pagine esaustive e minacciose. Il fatto è che non dobbiamo leggere e basta, dobbiamo informarci. Capire.