La ricerca in smart working: lati positivi e negativi
Settembre 2020 Off Di Giovanni BrancatoBianca Di MurroAssegnista e Dottoranda di Ricerca
Il periodo della quarantena è stato “strano” sotto molti punti di vista. Come tutti ho sofferto la mancanza di socialità ed in generale di libertà, legata al fatto che, vivendo in un appartamento a Roma, la necessità di uscire anche solo per una passeggiata si sentiva forte.
La chiusura di tutte le attività, e quindi anche del Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo-Facciali, dove lavoro, è avvenuta in un momento in cui avevo la necessità, ai fini della produzione scientifica, di studiare e scrivere molto. Devo ammettere che, quando ho appreso la notizia della quarantena, come prima reazione sono stata felice. Come molti italiani probabilmente pensavo che sarebbe durata poco ed il mio primo pensiero, ingenuo, è stato: “finalmente un paio di settimane per concludere un pò di progetti!”. Col passare dei giorni ho rivalutato più volte questo pensiero iniziale ma posso comunque dire che quello appena passato, è stato uno dei periodi più profiqui di tutta la mia vita, dal punto di vista dello studio. Occupandomi di odontoiatria, fare ricerca senza clinica è a volte impossibile. Tuttavia, anche se una ricerca dovesse essere prettamente clinica, oltre a visitare pazienti e scrivere dati, esiste un lavoro di interpretazione di questi ultimi, di statistica, di conoscenza di ricerche pregresse che la quasi totalità delle volte ne costituisce la parte maggiore, in senso di tempo.
Gestire bene le ore quando si sta a casa tutto il giorno e tutti i giorni non è stato facile, ero abituata ad una routine frenetica, fatta di traffico, pranzi fuori, vita universitaria, di computer sempre acceso, di clinica e pazienti, e alla fine…anche di sport! Lo stare davanti allo schermo tutte quelle ore è stato all’inizio bello perché vedevo i risultati e portavo finalmente a termine tante piccole cose che rimandavo sempre, ma poi dopo un pò, è iniziato ad essere un pò più stancante e noioso. Non dico che fosse passato tutto l’entusiasmo, perché la gratificazione del lavoro svolto continuava ad essere forte; il problema è stato che, non potendo uscire, non avendo distrazioni dal mondo esterno, finivo per passare tutte le giornate davanti al computer, senza differenze fra giorni feriali e fine settimana, senza la carica e quindi il profitto iniziale.
Rivivere la comunità universitaria è stata la cosa più bella, perché, anche se la ripresa è stata, e continua ad essere lenta, tornare ad incontrare colleghi, confrontarsi, ed anche sentirsi parte di una comunità medica che sta attraversando un periodo così particolare, è stato importante. Credo che chi scelga di continuare la vita universitaria, sia come specializzando, dottorando, assegnista di ricerca, o anche semplicemente come frequentatore, lo faccia in parte anche per questo. Alla fine nel contesto universitario si è sempre stimolati, sia per il confronto con gli altri sia perché ci si sente parte di una realtà pulsante, che non si ferma mai. Da un punto di vista medico questo vale ancora di più, ricominciare ha significato toccare con mano tutti quei problemi di cui si sentiva tanto parlare in televisione, come l’uso delle mascherine, la sanificazione degli ambienti comuni, la vestizione monouso, le entrate contingentate. Anche se la branca dell’odontoiatria è uno di quelle più a rischio dal punto di vista della contaminazione, è bello farne parte, essere al centro di una situazione difficile da poter tenere, (anche se solo in minima parte) sotto controllo in prima persona. Vedendo le sempre più scrupolose misure che vengono adottate adesso in reparto mi sento sicura e spero vivamente di poter ricominciare al più presto la routine di sempre…di ricerca…e non!