La salute non è un campo neutrale

La salute non è un campo neutrale

Settembre 2023 Off Di Giovanni Brancato

Silvia Iorio
Dipartimento di Scienze e Biotecnologie medico-chirurgiche

Nei documenti ufficiali della professione medica, nazionali e internazionali, da tempo si invoca un’evoluzione della medicina chiamata al compito di conciliare il progresso biomolecolare e lo sviluppo tecnologico con il recupero di una visione della cura, di chi cura e di chi è curato orientata alla complessità: lo sviluppo congiunto di competenze riflessive di sensibilità globale appare sempre più essenziale.

Nonostante la riconosciuta necessità di tener conto dell’influenza delle variabili di genere (donna, uomo, transgender), biologiche, socio-economiche (SES), culturali e ambientali sull’espressione clinica delle patologie e sulla risposta ai farmaci e ai protocolli terapeutici, i settori disciplinari che se ne sono occupati finora hanno stentato a interagire in modo fruttuoso, costringendo chi desideri occuparsi della salute in termini ecologici a dover incrociare dati magari di ottima qualità, ma molto connotati in relazione alle discipline che li hanno indagati e spesso relativi a contesti territorialmente, culturalmente e socio-economicamente diversificati; questi dati spesso stentano a incrociare i rispettivi paradigmi in modo da costruire un discorso organico.

La salute non è un campo neutrale. In ambito sanitario, la valorizzazione del concetto di diversità declinato in termini di sesso, genere e gradiente sociale di salute appare oggi come uno degli strumenti più promettenti per il raggiungimento degli obiettivi fissati sia nella Strategia Europea per l’Uguaglianza 2020-2025 sia nell’Agenda SS 2030 in relazione al Gender Equality Plan. La Medicina di Genere, su cui oggi si concentra larga parte di una discussione clinica finalmente in dialogo con riflessioni bioetiche su giustizia, equità in salute e accesso alle cure, è vista come una frontiera innovativa e ricca di potenzialità correttive di un approccio sperimentale e clinico che ha trascurato gli aspetti multidimensionali della malattia; quello che oggi l’OMS racchiude all’interno della definizione della MdG sembra restituire la complessità necessaria a includere lo studio dell’influenza delle differenze di genere, biologiche, socio-economiche, culturali, ambientali sullo stato di salute e di malattia di ogni individuo. 

La MdG appare, proprio per le sue caratteristiche di trasversalità di approcci, come il terreno di un potenziale arricchimento culturale in cui il dato biologico e quello socio-culturale siano finalmente e di nuovo in dialogo: la prima vera proposta metodologica utile a programmare l’erogazione di cure efficaci, giuste e appropriate a partire dalla presa in carico del soggetto, valutata oltre che sulle caratteristiche biologiche e cliniche della malattia, anche sulla base di tutti i fattori che ne caratterizzano il vissuto. Da prospettive diverse è ormai evidente, dunque, quanto il genere e il gradiente sociale impattino sulla distribuzione e sull’espressione clinica delle patologie. Meno evidente è invece la capacità di organizzare queste evidenze attorno a un core centrale di riflessione che possa costruire un percorso lineare sia in termini formativi che di ricerca sia in termini operativi.