Le sfide per l’editoria scientifico medica. Dialogando con “Il Pensiero Scientifico Editore”

Le sfide per l’editoria scientifico medica. Dialogando con “Il Pensiero Scientifico Editore”

Aprile 2019 Off Di Giovanni Brancato

Luca De Fiore
Direttore de “Il Pensiero Scientifico Editore”

 

Com’è nato “Il Pensiero Scientifico Editore”?

La casa editrice è stata fondata nel 1946 come risposta ad un lungo periodo in cui la conoscenza scientifica era stata molto condizionata dalle dinamiche di carattere politico e militare. Ma c’era una grande domanda di informazione da parte dei giovani medici e dei ragazzi della scuola romana di Medicina Interna sostennero attivamente l’iniziativa di Luciano De Feo che volle costruire questa nuova realtà editoriale. Era uno dei miei nonni ed era già stato fondatore dell’Istituto L.U.C.E e della mostra del cinema di Venezia.

 

Quali sono stati i primi passi?

Nell’autunno del 1946 nacque la prima rivista – Recenti progressi in medicina – intorno alla quale si sviluppò una serie di monografie a partire da un primo testo di Alexander Fleming sulla penicillina. Come tutte le case editrici anche la nostra è nata lavorando insieme alle principali scuole mediche, come quelle di Frugoni, Stefanini e Valdoni; e stabilendo una serie di collaborazioni con le principali istituzioni e le associazioni professionali mediche italiane.

 

Come vi siete rapportati con la tecnologia e l’innovazione?

Nel 1988 ho seguito un master in editoria professionale a Stanford, in California. La stessa università dove era nata la Hewlett-Packard e dove, qualche anno dopo, sarebbe stata accesa la scintilla di Google. Erano gli anni e i luoghi in cui iniziava a prendere forma un nuovo modo di comunicare. Mi è apparso un modo molto diverso da quello col quale si faceva editoria in Europa. Da quella consapevolezza scaturì il desiderio di far presto ad adeguarci alle nuove tendenze e nel 1995 era già online il sito del Pensiero Scientifico Editore, il secondo sito web di una casa editrice italiana.

 

Quale è stato il vostro elemento di forza nell’era della globalizzazione?

Forse, proprio la nostra dimensione “locale”. Intendo dire che la pratica assistenziale e la sanità devono comunque poi essere calate in un contesto specifico che deve accogliere l’innovazione ed essere in grado di adattarla alle situazioni economiche, culturali e politiche nelle quali si cercherà di introdurla. In questo senso una casa editrice italiana deve farsi interprete di quelle che sono le esigenze dei professionisti italiani. A partire dagli anni Ottanta, periodo della grande espansione dell’editoria internazionale, abbiamo cominciato a connotarci sempre più come editore molto presente nel campo della sanità pubblica. Questo perché in Italia esistevano oramai molte case editrici che pubblicavano monografie specialistiche, ma poche che approfondivano aspetti riguardanti l’organizzazione e le politiche sanitarie.

 

Come è cambiata l’editoria scientifica con l’ingresso del digitale?

L’editoria scientifica è diventata comunicazione scientifica. Quando in passato un editore percepiva un bisogno formativo, la soluzione quasi obbligata era realizzare un manuale. Oggi, invece, ci sono tante diverse possibilità offerte da internet e dal digitale: ad un libro si possono aggiungere o sostituire una rivista, un video, un’animazione, una gallery e molto altro ancora.

 

Cosa pensa della crescente disinformazione online e della diffusione delle fake news?

È un problema importante che non penso riguardi solo l’informazione online: quel che leggiamo talvolta negli inserti Salute dei quotidiani è peggio di ciò che troviamo su Wikipedia. La questione a monte riguarda l’educazione dei bambini. Si dovrebbe ripartire proprio dal sistema scolastico e da come sono insegnate certe materie, come ad esempio quelle scientifiche. Andrebbe costruita una nuova e più moderna consapevolezza scientifica. Poi, però, c’è un altro problema: talvolta sono i professionisti sanitari a disinformare i cittadini suggerendo accertamenti inappropriati o terapie inefficaci. Ricordiamoci che alcune delle pagine più nere della medicina dei nostri anni provengono da grandi riviste: basterebbe pensare alla falsa associazione tra vaccinazioni e sindrome dello spettro autistico pubblicata sul Lancet.

 

Secondo lei, quali sono le sfide per l’editoria scientifico-medica attuale?

La prima riguarda l’ultimo argomento di cui abbiamo parlato, ovvero continuare a fare progetti culturalmente difendibili in un contesto in cui alla cultura non viene più riconosciuto il valore di un tempo. Un’altra sfida è quella di mantenersi indipendenti in un contesto come quello medico in cui prevalgono opacità e conflitti di interessi. Dovremmo avere un’unica stella polare: l’interesse della persona che ha bisogno perché sta male; ma, purtroppo, sia nel campo della ricerca sia dell’assistenza, ci sono tanti interessi economici e politici che condizionano il perseguimento dell’obiettivo primario. L’ultima sfida, più personale, è mantenere viva un’azienda che, a distanza di 73 anni dalla sua fondazione, ha al proprio interno solo dipendenti con contratti a tempo indeterminato, in un periodo in cui le attività imprenditoriali non sono sostenute adeguatamente dalle istituzioni e soffrono una concorrenza che spesso utilizza metodi molto più disinvolti dal punto di vista della gestione delle risorse umane e finanziarie.