L’Università e il diritto allo studio ai tempi del Covid-19
Maggio 2020 Off Di Giovanni BrancatoTiziana Pascucci
Prorettore per il Diritto allo Studio e la Qualità della Didattica
In ambito fossile, negli strati relativi fino a 3,5 miliardi di anni fa, non si trova niente se non microbi. Poi, “improvvisamente”, nell’arco di 4 milioni di anni, compare ogni forma di organismo (piante, funghi, animali). Fu l’improvviso aumento di ossigeno, un forte stress ambientale, a rappresentare contestualmente una grande occasione: la disponibilità di energia per la costruzione di corpi, capaci di organizzarsi in strutture complesse e difendersi dai predatori. La natura ci insegna che quando ci sono sostanziali cambiamenti, le forme di vita intelligenti si adattano: in questo modo crescono e si rafforzano. Se non lo fanno, si estinguono.
Il 5 marzo ha rappresentato un forte stress per il nostro Paese, e naturalmente per le Università italiane. È stato il giorno in cui è stato comunicato il lockdown in Italia, con l’immediata chiusura dagli asili alle università. Una rarità in un Paese in cui nemmeno la Seconda guerra mondiale aveva fermato le lezioni. È una di quelle date di cui manterremo una memoria stabile, probabilmente ricordando dove eravamo, con chi, cosa abbiamo pensato e fatto (accade per date come l’11 settembre).
Una situazione talmente eccezionale che nessuna istituzione avrebbe mai potuto farsi trovare pronta. Non si può andare in aula, non si possono fare tesi di laurea o esami in presenza: queste le uniche certezze di quel giorno. E se la domanda è sorta spontanea: Si può proseguire con l’attività didattica in una università chiusa? La risposta degli Atenei italiani è arrivata chiara e unanime: Si deve! L’Università non si ferma. Nella riunione di marzo della CRUI (la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), alla presenza del Ministro Manfredi (che nella CRUI si trova a casa, avendola presieduta fino al giorno in cui è stato chiamato al Ministero), è stato identificato l’obiettivo prioritario: garantire il diritto allo studio a tutti gli studenti, impegnandosi a non far perdere loro del tempo prezioso (opportunità lavorative, occasioni di vita…). Ed ecco che nel giro di una settimana tutto il sistema universitario italiano è passato online. Parliamo di circa 100 mila insegnamenti in tutta Italia. Credo sia importante sottolineare il ruolo che la CRUI ha assunto negli ultimi anni, diventando luogo di reale coordinamento, confronto e decisione delle Università italiane. Solo così si può capire fino in fondo la risposta compatta e rapida che è stata data dal sistema universitario italiano.
I primi giorni degli Atenei sono stati di intenso lavoro per l’identificazione di strumenti di facile utilizzo per l’erogazione della didattica a distanza. A questo lavoro i docenti hanno risposto dando prova di straordinaria intelligenza, riuscendo ad adattarsi (nel giro di una settimana) alla nuova situazione. A partire dal 16 marzo, oltre il 95% dell’attività era online. Sicuramente i tempi per la tecnologia erano maturi, ma di questo non potevamo essere certi, e la pronta risposta di pressoché tutti i docenti ha stupito le università e il suo Ministro. Principalmente si è adottata una modalità di erogazione sincrona, ossia a distanza mantenendo il calendario delle lezioni. Questa scelta ha contribuito a velocizzare i tempi di transizione online ed ha permesso di scandire la giornata degli studenti. Contestualmente è stato raccomandato ai docenti di registrare le lezioni o comunque di fornire materiale di pari valore a tutti gli studenti, per assicurare anche a chi avesse problemi di connessione di non rimanere indietro (questa emergenza ha consentito di mappare la situazione di copertura di rete in Italia, evidenziando quanto la connessione debba diventare un diritto per i cittadini, al pari dell’energia elettrica in tutte le case). Altro dato straordinario è stata la risposta degli studenti: le classi virtuali si sono popolate oltre il numero che siamo soliti accogliere in aula. Complice la comodità di seguire da casa, ma sicuramente il dato più interessante (che non dovremo dimenticare dopo il Covid-19) è la possibilità per studenti lavoratori, fuori sede, tutti coloro che sono impossibilitati per qualsiasi motivo ad assistere in aula, di poter (finalmente!) seguire una lezione. La possibilità poi di accedere alle registrazioni delle lezioni erogate online, alle presentazioni arricchite con audio, e tanto altro materiale che i docenti hanno prontamente fornito, consente anche a tutti gli altri di poter fruire di materiale per ripassare e approfondire. È plausibile aspettarsi un miglioramento della prestazione degli studenti ai prossimi esami. Non dimentichiamolo.
Superata l’urgenza della didattica, la seconda emergenza è stata identificare procedure per poter gestire gli esami a distanza, sia gli orali che (ancor più critici) gli scritti, garantendo la correttezza della prova. La criticità che tutti gli atenei hanno condiviso è evidente anche solo se pensiamo che, in tempi normali, neanche le università telematiche fanno esami a distanza. Questo ha richiesto uno studio attento degli strumenti e delle procedure, e un continuo confronto tra gli atenei italiani che, nelle riunioni della CRUI e della sua Commissione Didattica, hanno condiviso problemi, dubbi, e alla fine trovato le soluzioni.
La velocità di risposta dei docenti e del personale tecnico amministrativo agli effetti della pandemia è stata registrata anche in Sapienza, che ha circa 115 mila studenti, 3.300 docenti e 280 corsi di studio. Sapevamo che nel secondo semestre erano previsti oltre 7600 insegnamenti, circa 20000 esami, oltre alle circa 3000 tesi di laurea nelle sessioni di marzo-aprile. Come ha potuto il mega-ateneo rispondere in una settimana? Sapienza è un’organizzazione grande, eterogenea e complessa, ma ha una struttura solida: 58 dipartimenti coordinati da 11 facoltà (strutture di coordinamento, razionalizzazione e monitoraggio delle attività), e aree amministrative con chiari compiti, oltre ad una direzione lucida e competente. C’è anche da considerare che il Rettore Eugenio Gaudio è al sesto anno di guida con una squadra compatta, e con la piena collaborazione di aree amministrative che hanno risposto in modo straordinario lavorando in smart working. Credo che questi fattori, struttura solida e esperienza di governo, abbiano rappresentato i prerequisiti per consentire a Sapienza di reagire in modo rapido ed efficace, ponendosi tra i primi atenei a reagire. Senza dimenticare le rappresentanze degli studenti ai diversi organi di ateneo (Consiglio di Amministrazione, Senato Accademico e Commissione Didattica in primis), pronti a segnalare, informare, condividere, collaborare (anche di notte…). Il ruolo cruciale che in Sapienza hanno normalmente le Facoltà, con i Presidi è emerso in tutta la sua forza durante l’emergenza. I Prorettori con deleghe sul tema, 11 Presidi, il Presidente della Commissione Didattica e i dirigenti delle aree amministrative più coinvolte, sono in riunione permanente dal 19 marzo: ci chiamano la comunità del giovedì.
E adesso siamo già a lavoro per pensare alla fase 2. Ma dovremmo fare lo sforzo di andare oltre la gestione dell’emergenza, per cominciare a disegnare il dopo. E non dovremo perdere troppo tempo a disquisire sulla contrapposizione ideologica tra formazione in presenza e a distanza: l’Università è stata, è e sarà una comunità presente dove si costruisce conoscenza e dove rimangono essenziali i contatti umani (a partire dai rapporti tra gli studenti!). Oggi, molto più stimolante è aprire coraggiosamente gli occhi sul futuro abbiamo davanti.
Cosa abbiamo capito grazie a questa straordinaria esperienza? Ogni docente ha sperimentato strumenti utili, che adatterà al meglio alla sua futura didattica in presenza per potenziare l’apprendimento degli studenti. E nell’emergenza, siamo involontariamente entrati con le nostre lezioni dentro le case dei nostri studenti, ascoltati, e apprezzati dai familiari per la formazione che stiamo erogando con passione e dedizione. Ricordiamolo.
Abbiamo sperimentato, nell’emergenza, come l’Università sia in grado di raggiungere tutti, anche coloro che si trovano impossibilitati a spostarsi da casa o dalla propria sede. Questo deve spingerci ad essere una Università ancora più inclusiva e aperta a tutti coloro che vogliono formarsi, ed investire sulla formazione permanente. Non dimentichiamolo.
La popolazione ha compreso che c’è bisogno di una società competente per far fronte alle grandi sfide, per rendere il nostro Paese più competitivo, più sicuro e più democratico. Finalmente! Ma c’è un problema all’orizzonte: le prossime immatricolazioni. Non sappiamo quali conseguenze le difficoltà economiche delle famiglie italiane avranno sulle iscrizioni alle Università. Dobbiamo fare il possibile per consentire alle giovani generazioni di formarsi.
In conclusione, l’emergenza è stato un acceleratore di un processo di innovazione (che in parte era già partito): ora deve diventare un momento di ripensamento e rilancio del Paese, a partire dalle Università.