Il dolore cronico come malattia neuroimmune e la sua specificità di genere
Settembre 2023 Off Di Giovanni BrancatoAngela Santoni1 e Edoardo Arcuri2
1 Dipartimento di Medicina Molecolare
2 Istituto dei Tumori “Regina Elena”
Il dolore cronico può definirsi come evoluzione del dolore acuto che si prolunga (per convenzione consolidata) oltre tre mesi dalla causa iniziale. Circa il 20% della popolazione nella cosiddetta civiltà post-industriale ne soffre, e questa prevalenza, ormai endemica, ha trasformato il fenomeno dolore da sintomo di un’avaria individuale a simbolo del disagio psicosociale.
La migliore definizione artistica del dolore cronico è di John Milton nel Paradiso Perduto: “Pain is absolute misery”. Da un punto di vista scientifico invece, da pochi anni la scienza che studia il dolore (Algologia) ha chiarito come il sistema immunitario giochi un ruolo chiave nelle alterazioni del sistema nervoso alla base della trasformazione del dolore acuto in cronico. In seguito a un trauma o a un’infezione, nella sede del danno tissutale dove si genera il dolore acuto, mediatori chimici liberati dalle cellule immunitarie (principalmente citochine) e dalle cellule del sistema nervoso (principalmente neurotrasmettitori), costituiscono le parole di un dialogo fra i due sistemi che si attivano reciprocamente dando luogo a una risposta infiammatoria congiunta. La neuroinfiammazione rappresenta quindi il primum movens dell’evoluzione abnorme e persistente del dolore che lungo vie spinali e sovraspinali si propaga verso aree cerebrali normalmente non deputate all’analisi di stimoli dolorosi (centralizzazione). La persistenza della neuroinfiammazione e della centralizzazione abbassa la soglia del dolore che evolve verso uno stato patologico autonomo, ovvero una malattia di per sé.
L’International Classification of Diseases ha preso ufficialmente atto dei meccanismi di trasformazione del dolore acuto (sintomo) a dolore cronico (malattia automantenentesi) e delle pesanti conseguenze economiche-finanziarie e psicosociali. Nei maschi e nelle femmine una diversa disposizione genetica media la diversa risposta al dolore acuto e alla sua cronicizzazione (dimorfismo sessuale). Le femmine così, presentano una maggiore sensibilità agli stimoli dolorosi acuti, e una prevalenza di malattie dolorose croniche quali ad es. l’artrite reumatoide. Almeno due sono i motivi alla base della diversità di genere: a) differente struttura del sistema nervoso (neuroni e ramificazioni dendritiche) responsabile delle modificazioni neuroplastiche (maladaptive) nel dolore cronico, modificazioni queste associate anche a comportamenti reattivi (ansia, depressione) o francamente psicopatologici (pain behavior); b) diversa attivazione e modulazione neuroimmune del dolore, dovute nei maschi a cellule del sistema nervoso di natura macrofagica (microglia) e nelle femmine ai linfociti T.
Inoltre, il dimorfismo sessuale del sistema immunitario determina nelle femmine una maggiore capacità di produrre anticorpi (prevalenza di malattie dolorose autoimmunitarie) e nei maschi una risposta infiammatoria più intensa (ad es. sindrome da distress respiratorio acuto). Differenze di genere esistono poi nella risposta a farmaci analgesici: la morfina, un oppioide che rappresenta il gold standard della terapia del dolore severo, è meno efficace nelle femmine rispetto ai maschi ma con più effetti avversi (ad es. nausea). Ciò è in parte dovuto ad una maggiore espressione e diversa struttura dei recettori degli oppioidi indotta dagli estrogeni. Concludendo: la ricerca sul dimorfismo sessuale del dolore ha giustiziato il luogo comune “maschio stoico” vs “femmina emozionale”.
Approccio acuto e convivenza (coping) col dolore in maschi e femmine sono il risultato dell’interazione fra due sistemi (nervoso e immunitario) la cui diversità è determinata geneticamente sia dal diverso ruolo biologico che i due sessi giocano nell’evoluzione che dalle imprevedibili vicende cliniche e psicosociali della storia personale. Lo studio in divenire di questa interazione potrebbe preludere alla nascita di una nuova disciplina, l’“Immunoalgologia”.