COVID-19 e popolazioni migranti: barriere di accesso e strategie di superamento
Maggio 2022 Off Di Giovanni BrancatoAnnalisa Rosso
UOC Tutela degli immigrati e stranieri, ASL Roma 2
La crisi sanitaria causata dal COVID-19 ha messo in luce le fragilità latenti nei sistemi sanitari già da prima dell’inizio dell’epidemia. In particolare, l’improvviso impatto della pandemia ha evidenziato la mancanza di risorse destinate alla medicina preventiva, essendo la spesa sanitaria ancora concentrata sugli interventi curativi in tutta Europa. Tali carenze hanno avuto un impatto ancor maggiore su alcuni gruppi di popolazione, quali le persone povere e le minoranze etniche, che già prima dell’insorgenza della pandemia vivevano difficoltà nel trovare risposte ai propri bisogni di salute.
Particolarmente complesso si è mostrato il contenimento dell’epidemia nelle popolazioni migranti: l’Istituto Superiore di Sanità ha rilevato un maggior rischio di diagnosi ritardata e ricovero in terapia intensiva rispetto agli italiani, con differenze più pronunciate in coloro che provengono da paesi con un basso indice di sviluppo umano, nei quali appare aumentato anche il rischio di mortalità. La maggiore vulnerabilità di queste popolazioni è dovuta alle condizioni di vita, caratterizzate da sovraffollamento e convivenza multigenerazionale, alla situazione lavorativa, spesso non regolare o con mansioni di cura, ma soprattutto alle difficoltà nell’accedere ai messaggi e ai servizi di salute pubblica. Queste difficoltà sono state più evidenti nei sottogruppi caratterizzati da maggiore marginalità sociale (es. stranieri privi di permesso di soggiorno, comunità rom, persone domiciliate in insediamenti informali, quali edifici occupati), per i quali le barriere comunicative e, molto spesso, amministrative (es. mancanza di un codice fiscale o della residenza) hanno costituito un ostacolo al contenimento dell’infezione.
Nella mancanza di una risposta sistemica al problema, alcune realtà locali hanno sperimentato soluzioni organizzative che permettessero, almeno in parte, di superare le criticità nel contenimento dell’epidemia COVID-19 in questi gruppi di popolazione. La ASL Roma 2, ad esempio, ha sottoscritto protocolli d’intesa con Enti del terzo settore per avviare attività di sorveglianza attiva in insediamenti informali, al fine di identificare precocemente casi sospetti di COVID-19 in quelle comunità. Al tempo stesso, attraverso il riorientamento dell’offerta di alcuni servizi (es. esecuzione di tamponi di screening e vaccinazioni in outreach, ovvero nei luoghi di vita delle persone; organizzazione di sedute vaccinali dedicate per stranieri privi di assistenza, con contestuale presenza della mediazione culturale e sportelli per rilascio codici di accesso al sistema sanitario), ha raggiunto migliaia di persone (circa 6000) che ne sarebbero, altrimenti, rimaste escluse. Si è trattato di esperienze che hanno fornito evidenze per lo sviluppo di modelli di intervento futuro, ma, contestualmente, hanno posto ancora più in luce la necessità di una risposta sistemica e di una maggiore conoscenza dei bisogni specifici di queste popolazioni.