Essere specializzandi ai tempi del Covid
Maggio 2020 Off Di Giovanni BrancatoJacopo Cermaria, Federica Orlando e Franz SestiRappresentanti Specializzandi Sapienza Università di Roma presso Osservatorio Regionale della Formazione Medica Specialistica del Lazio.
La pandemia provocata dal virus SARS-CoV-2 (COVID-19) ha certamente avuto un enorme impatto sulla vita lavorativa, sociale e affettiva di tutta la popolazione italiana. Gli operatori sanitari sono stati particolarmente colpiti da questa pandemia, sia per quanto riguarda il carico lavorativo che quello emotivo che hanno dovuto sopportare. Inoltre, dato il maggior rischio di esposizione al virus, hanno rappresentato circa il 20% della popolazione contagiata. I medici in formazione specialistica, al pari di tutto il restante personale sanitario, si sono adoperati in prima linea per la lotta a questa temibile infezione. Le attività svolte durante questa emergenza sanitaria sono ovviamente diverse a seconda della scuola di specializzazione, ma una profonda e radicale modifica del proprio percorso di formazione è ciò che accomuna tutti gli specializzandi.
Molti specializzandi hanno prontamente risposto alla necessità di personale manifestata da diverse aziende ospedaliere e sono stati assunti, secondo quanto previsto dal DL 14/2020 e successive modifiche. I primi contratti proposti erano da lavoratore autonomo o co.co.co, fino a giungere successivamente al conferimento di incarichi a tempo determinato, in grado di offrire maggiori tutele dal punto di vista amministrativo e legale.
Altri specializzandi hanno continuato a lavorare, in forma non contrattualizzata, nei propri reparti di assegnazione, trasformati dall’oggi al domani in reparti di degenza per pazienti Covid positivi. Questi colleghi hanno visto incrementare enormemente il proprio onere lavorativo a causa dell’alta intensità di cura dei pazienti ricoverati, ma soprattutto si sono ritrovati a dover mettere in pratica procedure nuove e complesse, quadro aggravato dall’assenza di adeguate basi scientifiche che attestassero l’efficacia degli schemi terapeutici messi in atto. Lavorare nei reparti COVID ha messo a dura prova gli specializzandi anche dal punto di vista emotivo: molti di loro hanno dovuto allontanarsi dai loro affetti e cambiare casa, vivendo nella insanabile paura di poter essere contagiati e contagiare, portandosi nelle vuote case il forte senso di angoscia e tristezza, dettato dall’essere unico porto di confronto e conforto per quei pazienti in isolamento ed i loro cari.
Altri specializzandi, all’estremo opposto, hanno visto drasticamente modificarsi la propria attività a causa della sospensione o della riduzione di tutte le prestazioni ambulatoriali differibili e programmate. La cura del paziente in queste settimane è stata demandata alla telemedicina, utile e funzionale in una situazione di emergenza come questa, ma di sicuro non il miglior approccio alla cura, sia per il paziente che per il medico. Si sono ritrovati dunque a non poter esercitare la professione che amano e che hanno scelto, vivendo una situazione alienante, dovendo rinunciare alla pratica tanto essenziale nella formazione di ogni medico. Il percorso formativo di questi medici è stato quindi inevitabilmente intaccato. Chi ha potuto, ha chiesto di essere impiegato nei reparti covid per dare supporto ai colleghi in questo tragico momento; chi non ha potuto, ha impiegato il proprio tempo in attività di ricerca e di studio individuale, anch’esse attività essenziali alla formazione e spesso sacrificate.
Tutti in questa situazione hanno dato per quanto possibile il loro contributo, lavorando con professionalità e responsabilità, dimostrando agli occhi di tutti di essere innanzitutto medici.
Guardiamo a loro con orgoglio, nella consapevolezza di rappresentare una categoria dal valore ancora troppo poco riconosciuto ed estimato.