Fuga di notizie da Medicina
Ottobre 2018 Off Di Giovanni BrancatoMario MorcelliniConsigliere alla Comunicazione Sapienza
Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
Perché una Facoltà medica progetta un magazine di informazione? La domanda è già di per sé paradossale, perché oggi l’imperativo della Terza missione invita a inventare tutti i possibili strumenti di superamento dell’autoreferenzialità accademica. E dunque, caso mai, bisognerebbe rispondere alla domanda contraria: perché mai non realizzarlo? Del resto, evadere dal compito di comunicare autorizza a pensare una concezione della professione medica autosufficiente e un po’ aulica, e dunque non legata a doppio filo ai suoi utenti e ai cittadini. Poche professioni come quelle della salute sono così profondamente cambiate quanto quella di cui stiamo parlando. E dunque una eventuale resistenza ad adottare uno stile di trasparenza significherebbe attestarsi su una medicina autoritaria, quando c’è invece un profondo bisogno che essa diventi sempre più interattiva. Per allinearsi al cambiamento c’è una sola via da percorrere: quella di adottare un orientamento alla comunicazione che, tra l’altro, riduce le resistenze e lo stress del rapporto medico/ paziente su cui occorre attivare un rigoroso lavoro di rivisitazione critica non ispirata alla demagogia.
È tramontato il tempo in cui il compito del medico era essenzialmente quello di diagnosticare e curare le malattie, e se c’è un insegnamento che possiamo trarre dalla Terza missione è quello di rinnovare tutte le professionalità, a partire da quelle preposte alla cura e soprattutto alla prevenzione delle malattie e del dolore. Se quella medica vuole essere una professione capace di “prendersi cura”, deve assolutamente risolvere il nodo della comunicazione, anche perché l’alternativa è un irrigidimento nel rancore della cosiddetta “medicina difensiva”. Sarebbe una regressione ad un’idea di medico così autoreferenziale da risultare quasi un estraneo agli abitanti del continente dei media e delle reti digitali.
È proprio qui il nodo: al tempo delle reti digitali, la scelta di non comunicare significherebbe incoraggiare un mercato di informazioni asservite e addirittura di fake news; ebbene, non possiamo accontentarci del dottor Google, poiché le informazioni scientifiche hanno diritto a rendersi riconoscibili e certificate grazie alla documentazione e alla verifica delle fonti. Vorremmo tutti lasciarci alle spalle contrapposizioni quasi medievali come quelle sui vaccini o sulle continue promesse taumaturgiche di salvezza, non di rado ammantate dal giornalismo come scoperte innovative, che hanno un solo risultato: indurre frustrazione e sfiducia e compromettere la razionalità dei discorsi sulla salute. È proprio su questo tema, allora, che occorre sfidare la coscienza e la preparazione degli studenti che stanno formandosi alla professione medica. È vero che la cultura contemporanea sembra ormai avere accettato un adagio un pò ignorante contro il ruolo degli esperti e di tutte le professioni che fondano il loro intervento sulla conoscenza. Ma proprio perché c’è un rischio di perdita di contenuti nelle chiacchiere da bar che troppo spesso incontriamo in rete, servono strumenti di reazione e di resistenza culturale. Lo spirito di questo magazine nasce qui. Uno strumento informativo agile e non accademico può fare la differenza perché, se la Medicina è anzitutto cultura del rapporto, essa è un sinonimo di una relazione umana fondata sulla comunicazione.
E non è che l’inizio.