Il ginecologo: il “supporting actor” contro la denatalità
Gennaio 2022 Off Di Giovanni BrancatoAntonella Giancotti
Dipartimento Materno infantile e Scienze urologiche
La definizione di un problema è il primo passo nell’acquisizione di consapevolezza. L’enciclopedia Treccani definisce il termine denatalità come “diminuzione delle nascite, tendenza della natalità a diminuire nel tempo con riduzione dell’eccedenza delle nascite sulle morti”.
Anno dopo anno, inesorabilmente, da circa 30 anni a questa parte riceviamo spesso allarmi di “esperti” che sistematicamente annunciano un progressivo e incessante decremento delle nascite, accompagnato di necessaria conseguenza da un altrettanto progressivo incremento dell’età media della popolazione. Pur se in larga parte ascrivibile alle incertezze scaturite dalla pandemia in atto, l’ultimo rapporto ISTAT su natalità e fecondità della popolazione italiana ha evidenziato un record negativo di natalità nel 2020, con 15000 nuovi nati in meno nel 2020 rispetto al 2019 e un 30% di nascite in meno rispetto al 2008.
Le implicazioni sono drammatiche: una popolazione anziana mette in ginocchio i sistemi pensionistici, mette sotto pressione il sistema sanitario, ma soprattutto non consente quel fisiologico e naturale cambio di generazione che è alla base del progresso, dando spazio ai giovani con le loro idee nuove e menti fresche. Appare scontato, tuttavia, sottolineare come una vera politica di natalità non possa che cominciare da un supporto alle famiglie, che non si esplichi solo tramite meri sussidi di natura economica, ma che sia un sostegno generale che possa garantire ai neogenitori una migliore qualità della vita, ad esempio tramite migliori infrastrutture, asili nido pubblici, paternity leave. Le donne di oggi, madri del domani, sono determinate e vanno supportate e dunque ciò che deve essere scongiurato è che la maternità venga trasformata in uno strumento che possa in qualsiasi modo allargare la forbice già ampia del gender gap. Pertanto, il sostegno in questione non deve essere inteso come un sostegno alla maternità né alla natalità, bensì come un sostegno alla genitorialità.
In questo scenario, il ginecologo gioca un ruolo importante, da “supporting actor”: le scelte riproduttive e la programmazione familiare sono momenti di condivisione con la paziente ed è in questo ambito che il ginecologo dovrebbe offrire un counselling personalizzato, incentrato sui desideri e le aspirazioni familiari di ciascuna donna. L’utenza con cui ci interfacciamo è profondamente diversa per condizioni socio-culturali, ma soprattutto per il modo in cui si approccia allo sviluppo di un progetto familiare e dunque il tipo di supporto che il ginecologo si trova a offrire nel 2022 non può che essere di duplice natura.
Le donne di origine italiana, infatti, tendono ad affrontare il loro desiderio di maternità in modo molto differente rispetto alle donne di recente immigrazione. Le continue pressioni sociali e il desiderio di voler arrivare al momento della maternità con un’organizzazione economico-familiare impeccabile costituiscono un’inevitabile fonte di ritardo verso quel momento in cui si sceglie di voler dare inizio ad un progetto riproduttivo. Per tale motivo, spesso, i percorsi diventano lunghi, frustranti e particolarmente forieri di stress psico-fisico. Il compito del ginecologo è pertanto quello di seguire queste donne dall’adolescenza, offrendo un counselling che accompagni nel percorso di maturazione fisica e personale e che sappia fornire il giusto consiglio e la corretta indicazione nel momento opportuno, che non sia di allarmismo e che non aggiunga altre pressioni, ma che illustri in maniera chiara e informata eventuali difficoltà che ci si può dover trovare a fronteggiare quando l’età avanza. La seconda tipologia di scenario invece è sostanzialmente opposta. Le pazienti di recente immigrazione, in particolare quelle provenienti dall’Asia Meridionale, giungono all’attenzione delle strutture sanitarie con un disegno procreativo più preciso e qui il compito del ginecologo non sarà più quello di accompagnare la donna nell’acquisizione di un progetto di procreazione, ma sarà invece quello di assistere la donna in un progetto che spesso già definito, offrendo una consulenza che abbia al centro il benessere e la salute e che sia in grado di informare su rischi e complicanze, senza disincentivare scelte personali.
Per concludere, la denatalità è un tema delicato perché interessa la società su molteplici livelli: sociale, sanitario, economico e politico. Di certo, un Paese la cui natalità è in continuo deficit è un Paese il cui futuro non può evidentemente considerarsi cristallino e stabile e pertanto il problema va affrontato con la serietà che richiede. Appare però evidente che la battaglia contro la denatalità debba essere giocata su più fronti e che il ruolo del medico ginecologo debba necessariamente essere accompagnato da seri interventi politico-economici che possano aiutarci nella ricerca di quel welfare di stato a cui tanto si auspica.