Le nascite pretermine in tema di denatalità
Gennaio 2022 Off Di Giovanni BrancatoMaria Chiara De Nardo
Dottoranda di Ricerca
La prematurità neonatale, definita come la nascita prima della 37^ settimana di età gestazionale, rappresenta la principale causa di mortalità nei bambini al di sotto dei 5 anni ed è associata a un’ elevata morbidità e mortalità. La nascita prematura induce preoccupazioni ed ansie nei genitori, che si trovano davanti ad un evento traumatico di cui, spesso, conoscono poco.
Nel mondo ogni anno nascono circa 15 milioni di neonati prematuri (il 10% di tutti i nati) e circa 1 milione di questi muoiono per le complicanze legate direttamente alla prematurità. Il tasso di prematurità è in continuo aumento e nei diversi paesi varia dal 5 al 18%. Negli ultimi decenni, grazie ai progressi delle conoscenze mediche in campo neonatologico, la sopravvivenza e la prognosi dei neonati pretermine sono certamente migliorate; tuttavia, dipendono significativamente dall’età gestazionale alla nascita e dal luogo di nascita. L’Italia è tra i Paesi con il più basso tasso di mortalità al mondo di neonati molto prematuri, cioè di peso inferiore a 1500 grammi. In Italia nascono oltre 30.000 neonati prematuri l’anno che rappresentano circa del 7% di tutti nati.
Nel nostro Paese e nella maggior parte dei paesi sviluppati si assiste ad un aumento delle nascite premature. Questo fenomeno è determinato da vari fattori: l’innalzamento dell’età media delle donne al momento del parto sicuramente gioca un ruolo fondamentale nell’aumento dei parti prima del termine. Oggi più di un terzo delle donne partorisce ad un’età superiore a 35 anni e ben il 9% ad un’età uguale o maggiore di 40. Questa popolazione essendo più a rischio di infertilità per l’età avanzata, ricorre maggiormente a tecniche di procreazione medicalmente assistita a cui consegue un maggiore rischio di gravidanze multiple che nella metà dei casi si associano a parti prematuri. Concorrono alle cause di parto pretermine alcune malattie in gravidanza come il diabete, l’ipertensione e le infezioni.
Anche la condizione sociale spesso legata alla povertà rappresenta un rischio per il parto prematuro. Infatti, è stato osservato che i neonati prematuri nascono più frequentemente da madri immigrate e svantaggiate socialmente, economicamente e con basso livello culturale. Un maggior tasso di prematurità si osserva tra le donne minorenni, ragazze-madri, con basso reddito familiare, che vivono in condizione di precarietà economica e in scarse condizioni igieniche ed abitative e con difficoltà ad accedere alle cure ostetriche e prenatali.
Durante l’epidemia da COVID-19 il tasso di neonati prematuri nella popolazione generale non è molto cambiato, anzi, alcuni dati incoraggianti evidenziano un leggero calo delle nascite premature. Questo dato è confermato da uno studio pubblicato su The Lancet in cui dei ricercatori danesi e irlandesi, descrivono nelle rispettive nazioni, un’incidenza minore di parti prematuri nel periodo subito successivo al primo lockdown. Gli stessi risultati sono stati riportati da un neonatologo dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, che ha confermato la diminuzione di parti pretermine dal 15% al 23% soprattutto nel primo periodo dopo la chiusura nazionale primaverile, entro la fine di marzo 2020.
Il calo dei parti pretermine nella popolazione generale è da attribuire principalmente allo stile di vita meno stressante condotto dalle donne gravide durante la pandemia. Il riposo domiciliare obbligato delle madri durante il lockdown, la ridotta attività fisica, un’aumentata igiene e una ridotta esposizione ad infezioni durante la gravidanza hanno contribuito a ridurre la prematurità neonatale. Questa è anche la possibile ragione del descritto incremento delle nascite a termine nello stesso periodo dell’anno.
Nello stesso periodo pandemico, si è osservato un incremento dei parti prematuri dell’11,2% nelle donne che hanno contratto l’infezione da Sars-Cov-2 negli ultimi mesi di gravidanza. L’aumento di parti prematuri è più evidente nelle donne che hanno contratto il COVID-19, soprattutto se sintomatiche con febbre e insufficienza respiratoria. In questi casi, il parto prematuro è dettato soprattutto dalla necessità di dover indurre il parto anticipatamente per tutelare la salute materna.
Interessante è osservare, come emerge da uno studio epidemiologico, che nei tre mesi di lockdown da Marzo a Maggio 2020 nel Lazio, rispetto all’anno precedente, sono nati meno neonati prematuri, in linea con la denatalità, ma sono triplicati i nati morti, intesi come tutti i neonati “non vitali alla nascita” con un’età gestazionale maggiore di 22 settimane. Nel Lazio vivono circa 5,8 milioni di persone e nascono circa il 10% di tutti i nati italiani. Questo fenomeno, tuttavia, non sembra una diretta conseguenza dell’infezione da Sars-CoV2. Gli autori sottolineano come invece potrebbe dipendere dai cambiamenti di vita indotti dal lockdown e in particolare dovuti alla riduzione delle visite ospedaliere dovute alla paura di contrarre il COVID-19 infezione. Questo comportamento ha portato al rinvio o la sospensione di tutti i controlli medici anche nelle donne in gravidanza. I dati osservati dallo studio epidemiologico italiano, sono confermati dalla più recente letteratura internazionale che analizzando il periodo da Gennaio 2020 a Gennaio 2021, conferma un generale aumento di nati morti e un incremento della mortalità materna, imputabile alla difficoltà di accesso alle cure durante il periodo pandemico. Gli autori concludono sottolineando l’urgente bisogno di dare priorità alla sicurezza, all’accessibilità dell’assistenza materna durante la gravidanza come risposta strategica a questa pandemia e alle future crisi sanitarie.