Pillole di storia della medicina di genere
Settembre 2023 Off Di Giovanni BrancatoValentina Gazzaniga
Dipartimento di Scienze e Biotecnologie medico-chirurgiche
Il concetto di medicina di genere è un tema di attualità medico-scientifica con un importante passato. La ricerca storico medica si è concentrata negli ultimi anni sul rapporto tra concettualizzazione del corpo femminile inteso come alterità rispetto al modello maschile (paradigma della salute), evoluzione del concetto di malattia e variabili socio-culturali che hanno storicamente prodotto o modificato comportamenti legati alle differenze di sesso. Le modalità in cui in epoche diverse hanno concettualizzata l’idea di una diversità femminile hanno prodotto, infatti, conseguenze reali sul concetto di malattia, sulle pratiche di cura, sulle stesse condizioni di vita delle donne, testimoni mute di un avvicendarsi di pareri, opinioni, teorizzazioni in cui ogni concezione del corpo è in qualche modo “gendered”, cioè rispondente alle necessità di definizione sociale che contesti diversi assegnano ai corpi femminili.
In antico, fanno parte di questo panorama posizioni diversificate: a partire dal mito esiodeo di Pandora fino ai testi ippocratici sulla salute delle donne, il corpo femminile è rappresentato come diversità che non si limita a colpire gli organi della riproduzione, ma è fondata su un’alterità strutturale, anatomica, fisiopatologica e temporale. A essa si riconduce il dibattito sul contributo femminile alla generazione, la costruzione dell’immagine del corpo cavo, la definizione di una patologia per larghi tratti identificabile con l’isteria che attraverso la riflessione filosofica arriva alle soglie del XIX secolo, la concettualizzazione di un corpo mobile e animato, l’idea costante che nessuna terapia adatta al corpo del maschio sia utilizzabile per riequilibrare i corpi delle donne. Indirettamente, questa attenzione minuziosa al funzionamento del corpo femminile finisce per creare anche una sorta di andrologia, in cui i difetti di funzionamento sono ascritti a un eccesso di freddezza o di umidità, insomma a una sostanziale, errata somiglianza del corpo maschile a quello femminile.
Sarà Aristotele a stabilire la tradizione di lunga durata che predica il corpo femminile come difforme perché mostruoso, inaugurando la tradizione di lunga durata di quello che Th. Laqueur definisce ‘one sex model’, cioè l’idea che il corpo femminile sia una versione invertita e minoritaria di quello maschile.
I secoli successivi sono segnati dall’oscillazioni tra posizioni scientifiche che sostengono la diversità del corpo femminile come peculiarità che va considerata in patologia e terapia (le donne hanno un odore diverso del sangue, che ne indica la diversa composizione chimica; l’isteria non è più solo malattia dell’utero, ma alterazione degli impulsi nervosi trasmessi a date parti anatomiche, che negli uomini diventa affezione degli ipocondri; le donne non possono essere trattate con il salasso) e posizioni che utilizzano le differenze anatomiche dello scheletro, degli organi, della pelle per sancire su base ‘scientifica’ l’idea di disuguaglianza, in accordo con la legge naturale che assegna alle donne il solo ruolo di madri.
I testi settecenteschi, che sembrerebbero archiviare definitivamente l’idea di una ‘imperfezione’ del corpo femminile, utilizzano proprio il concetto di perfezione del progetto naturale per inchiodare le donne in un ambito sociale e culturale estremamente ristretto. La costruzione medica di una diversità anatomica, fisiopatologica e terapeutica continua a servire il compito antico: predicare la necessità della rinuncia alla vita attiva e confinare le donne nel recinto della naturalità, lasciando agli uomini costruzione culturale e progettazione politica del vivere sociale.