Vita da specializzanda di medicina durante la quarantena: vecchie e nuove abitudini
Settembre 2020 Off Di Giovanni BrancatoSara RonciSpecializzanda di Pediatria
“Se farai il medico non smetterai mai di studiare”! Questo il mantra che ha accompagnato i miei sei anni di università e che risuona ogni giorno nella mia testa di specializzanda in pediatria. È una dura realtà, non si finisce mai di approfondire, di ricercare, di scoprire. Ma ancora più vero è che dopo 10-12 ore di lavoro, ciò che vuoi fare dall’istante stesso in cui il badge scivola nel verso uscita è tutto, e dico tutto, all’infuori di leggere anche una sola parola inerente a farmaci, patologie e statistica. C’è sempre l’amico che ti invita per una birra, una corsetta al parco, la lavatrice che ti aspetta, il film che vuoi finire. Ed ecco lì che i buoni propositi di poche ore pima svaniscono per ripresentarsi attualissimi dopo un meritato riposo. Per cui sì, la quarantena ha radicalmente cambiato la mia quotidianità. Ed il preambolo a questo breve racconto ne è uno dei punti fondamentali.
Per la prima volta da quando ho iniziato la specializzazione, ho ritrovato il tempo (e la voglia) di approfondire ogni dettaglio di ciò che affrontavo durante il giorno in reparto. Ho riavuto il tempo per pensare ad ogni singolo bambino ed alla sua famiglia, di fare ogni storia mia, di immedesimarmi negli atteggiamenti di genitori spaventati che troppe volte critichiamo. Mi sono resa conto di eseguire azioni quotidiane con una superficialità dettata dalla routine, e sulle quali mai, per mancanza di spazio temporale, mi ero fermata a riflettere. Ho studiato, imparato e soprattutto, capito. Ho avuto il tempo di capire. Il prezzo da pagare, sicuramente scontato rispetto ai miei coetanei costretti in casa, da soli o con poche persone accanto, è stato doversi abituare ad uno stato d’ansia più o meno costante. Ansia scatenata dalla consapevolezza che una piccola disattenzione, un semplice lavaggio in meno delle mani, poteva trasformarmi in un vettore di virus per la mia famiglia, per i miei colleghi, per altri pazienti. Questo pensiero fisso, purtroppo ancora presente, è ciò che sicuramente più ha caratterizzato i mesi del lockdown. “Beata te”, mi sentivo dire in continuazione, “almeno esci, vedi altre persone, la tua vita continua”. Verissimo, anche io mi sono sentita beata. Ma anche pericolosa, e mai ci si vorrebbe sentire un pericolo per gli altri.
La vita in ospedale è sicuramente cambiata. Le riunioni multidisciplinari, momento di confronto tra diversi specialisti, sono a volte state difficili perché si dovevano trovare spazi atti a garantire il distanziamento. Le lezioni in presenza, si sono tramutate in webinar e seminari online, dove inevitabilmente è cambiato il rapporto docente discente e tanto più quel ribollire di giovani menti curiose che più mi piace della mia vita tra colleghi. Ho sofferto molto la mancanza di condivisione che prima avveniva in maniera semplice e diretta, in un periodo dove tutti abbiamo imparato a lavorare un pò più distanti. Il 4 Maggio per me non ha rappresentato un ritorno alla vita, la mia vita è andata avanti lo stesso, la sfera sociale non si è fermata, di volti ho continuato a vederne tanti, seppur più tirati del solito. Ma sicuramente ha ridato il via a tutte quelle attività che la contornavano, e che mi distraevano, in tutte le accezioni del termine, da ciò che nella quotidianità spesso ti assorbe di più.
Sono felice di essere ritornata alle mie passeggiate e chiacchiere tra amiche, al gelato dopo cena ed alla corsa al parco, ma sono anche grata a questa quarantena per avermi rinsegnato il valore del tempo, e di come questo si possa dedicare a tante cose, ed adesso non da ultimo, al famosissimo “non si smette mai di imparare”.