Come prima, più di prima

Come prima, più di prima

Maggio 2021 Off Di Giovanni Brancato

Francesco M. Martino
Studente CLM "C" in Medicina e Chirurgia

Sono uno studente del secondo anno di Medicina e Chirurgia; nel rendere conto della mia esperienza universitaria in relazione all’eccezionalità della situazione che stiamo vivendo è doverosa una premessa. In confronto agli studenti degli anni superiori, che mi precedono, e a quelli del primo anno, che mi seguono, mi sento fortunato: la pandemia ha interrotto il mio normale corso di studi lasciandomi la possibilità di godere della normalità di un intero semestre di lezioni ed esami, senza incombere tanto presto da impedirmi tout court di approcciarmi alla normalità del mondo dell’università né tanto tardi da precludermi la possibilità di partecipare in carne e ossa alle attività pratiche che contraddistinguono il mio percorso di studi dal terzo anno in avanti.

La mia voce, allora, non può raccontare di una storpiata transizione dal liceo all’università o della giornaliera frustrazione nel dover rimandare il momento in cui poter mettere le mani in pasta nella propria futura professione. Posso soltanto essere testimone di cosa ha significato essere privato della tipicità della vita universitaria, dopo aver appena iniziato ad assaporarla.

Ormai quasi due anni fa ho scelto la Sapienza anche perché consapevole dell’enormità degli incontri e delle interazioni che avrei potuto stabilire in un Ateneo dalle braccia così aperte, e del ruolo assolutamente prioritario che delle solide relazioni interpersonali e, perché no, forti amicizie avrebbero potuto giocare nella definizione del mio percorso di studi e di crescita umana insieme. Il terreno di scambio di nuovi incontri ed esperienze e un comune vissuto con i miei colleghi stavano appena cominciando a costituirsi, tra lezioni, pause, studio in Biblioteca Alessandrina, qualche fugace pranzo nel passare da un edificio a un altro, l’incontro di nuovi compagni, i primi esami, il confronto dei risultati e l’inizio di una nuova sessione. Ho vissuto tutte le prime volte; poi il lockdown. 

A onore del vero sono io stesso rimasto stupito di quanto i mezzi di comunicazione da remoto abbiano permesso alle poche amicizie strette in quell’ormai lontano semestre di normalità di mantenersi vive nonostante la lontananza fisica, e addirittura di come legami soltanto accennati o instaurati appena prima delle chiusure siano stati capaci di crescere e alimentarsi, talora arricchendosi per mezzo di mille “quando ci vedremo potremo finalmente”. 

Epperò la realtà è un’altra cosa. Dal confronto tra studenti e professori che soltanto le lezioni in presenza permettono al mondo delle aule studio e delle biblioteche, dall’associazionismo studentesco a tutte le iniziative culturali, laboratoriali ed editoriali che si sviluppano all’interno e all’esterno della Città Universitaria, non possiamo continuare a illuderci che la privazione di incontri reali non costituisca un vulnus nel nostro percorso di crescita comune; è a mio avviso un pericolo pensare che, tutto sommato, una settimana di università in DAD sia comparabile a, se non migliore di (“vuoi mettere la comodità?”) una settimana in presenza. Nel breve termine è effettivamente allettante la prospettiva di fare tutto comodamente da casa, ma alla lunga non ci si può non rendere conto che soltanto il tempo speso insieme ai compagni di viaggio nel contesto universitario è capace di trasformare un percorso di acquisizione di nozioni e preparazione alla professionalità in un cammino di crescita integrale al servizio dello sviluppo della nostra persona e, insieme, della comunità di cui facciamo parte. 

Oltre a farci comprendere l’importanza della socialità, che avevamo sempre dato per scontata, il contesto epidemico è anche stato, ed è tuttora, un lungo tempo di richiamo alla responsabilità individuale, di riflessione, forse, sull’impatto dei comportamenti del singolo sulla vita della comunità; e se questo è vero per tutti, lo sento particolarmente vero come studente di Medicina. Forse è vero che la retorica incentrata sul “ne usciremo migliori” si è già fatta smielata, ma non posso, o meglio non voglio fare a meno di sperare che il lento e spesso difficoltoso ritorno alla normalità che stiamo vivendo ci porti, soprattutto noi giovani, a un punto di approdo che non sia semplicemente lo stesso da cui ci siamo allontanati.

Forse è vero che siamo stati i più colpiti dalla situazione; ma senza dubbio abbiamo, per questioni anagrafiche, la singolare fortuna di poter partecipare a questo rilancio senza precedenti con il massimo dell’impulso e dell’entusiasmo di un nuovo inizio. E allora viviamolo, senza passare frettolosamente al capitolo successivo strappando le pagine di quello che (speriamo) stiamo per concludere, anzi cogliendo l’occasione di vivere il futuro del nostro percorso universitario con una consapevolezza nuova, che sappia conservare il ricordo di quanto vissuto e la volontà di superarlo tutti i giorni a venire.