L’allarme delle disuguaglianze sanitarie in tema di terapia del dolore
Maggio 2022 Off Di Giovanni BrancatoZhenisa Graçi
Dipartimento di Infermieristica, Università di Gjirokastër
Il Rapporto sullo stato dell’equità sanitaria del WHO/Europa rivela che il 90% delle disuguaglianze sanitarie è spiegato dai seguenti cinque fattori: i) qualità dei servizi sanitari; ii) incertezza finanziaria; iii) cattive condizioni dell’ambiente e del contesto domestico; iv) esclusione sociale; v) carenza di posti di lavoro dignitosi e cattive condizioni di lavoro.
Da medico, tra i fattori di cui sopra, quello che più mi colpisce è la qualità del servizio sanitario dal momento che tutti gli altri sono direttamente correlati all’individuo e/o alle politiche governative. Durante la mia vita, inizialmente come paziente, poi come studente di medicina, poi come medico e, di nuovo, come un paziente con una laurea in medicina, ho avuto l’opportunità di testimoniare il livello di disuguaglianze nelle istituzioni sanitarie in varie situazioni. Riflettendo su questo tema, trovo ancora una volta molti fattori che influiscono, indipendentemente dalla volontà del professionista sanitario, sulla prontezza della prestazione, sull’attenzione rivolta al paziente e sulla possibilità per i nostri pazienti di avere uguali opportunità di poter usufruire degli stessi strumenti diagnostico-terapeutici. Gli stati membri dell’UE più sviluppati, al fine di ridurre al minimo le disuguaglianze sanitarie in termini di qualità dell’assistenza sanitaria, hanno adottato e messo in pratica protocolli unificati per la diagnosi e la cura di diverse condizioni.
La mia esperienza di ricerca nell’ambito della terapia del dolore in paesi in via di sviluppo, dimostra invece chiaramente un approccio ineguale al dolore del paziente. Innanzitutto, in questi paesi non sono presenti linee-guida ufficiali per la valutazione del dolore per effettuare la valutazione iniziale della condizione del paziente e per giudicare il successo della terapia che abbiamo iniziato ad applicare. Al contrario, si nota che il trattamento iniziale è determinato empiricamente dal medico e non c’è un ulteriore monitoraggio documentato con scale di valutazione del dolore. Questa modalità lascia il paziente in guerra con sé stesso, costretto a farsi forza e a stringere i denti per sopportare il dolore o ad alzare la voce per chiedere aiuto. In secondo luogo, i medici dell’emergenza/urgenza ancora oggi preferiscono non alleviare il dolore pensando che amministrare antidolorifici possa nascondere la sintomatologia delle malattie quando in realtà le evidenze scientifiche mostrano che il sollievo del dolore in urgenza non compromette l’accuratezza del processo diagnostico e allo stesso tempo è primario per il benessere del paziente. Terzo, si nota che la terapia analgesica in paesi in via di sviluppo differisce rispetto agli altri paesi dell’UE. I dati raccolti nei reparti urgenza, traumatologia, chirurgia ed ostetrica-ginecologia mostrano come i medici preferiscano l’utilizzo dei FANS rispetto agli oppiacei. Infine, il servizio sanitario pubblico raramente (principalmente nella capitale) offre metodi alternativi per alleviare il dolore. Il servizio privato offre alcune possibilità ma i costi sono inaccessibili per la stragrande maggioranza della popolazione.
Queste poche righe ci dicono che la strada verso la standardizzazione della qualità dell’assistenza sanitaria in paesi in via di sviluppo è lunga e a tratti ancora inesplorata. Sapienza Università di Roma sta contribuendo anche allo sviluppo in questo settore ad esempio aprendo le porte ai dottorandi provenienti da questi paesi, compresa l’Albania, che potranno in futuro essere da guida per accelerare i passi verso questo obiettivo.