La medical innovation alla Sapienza: il centro interdipartimentale STITCH
Aprile 2019 Off Di Giovanni BrancatoSebastiano FilettiDelegato del Rettore per i Rapporti Internazionali – Area sanitaria
Che cosa è e di cosa si occupa STITCH?
STITCH, che è l’acronimo di Sapienza Information-Based Technology Innovation Centre for Health, è un centro di ricerca e di innovazione tecnologica nell’ambito medico-sanitario creato alla Sapienza nel 2018. Le aree di interesse di STITCH sono molteplici e vanno dalla digital health alla realtà e l’intelligenza virtuale, passando per i big data e la robotica medica.
Da chi è formato il centro di ricerca?
STITCH è per tutti e di tutti. Il centro rappresenta un vero e proprio innovation hub, frutto di un lavoro sinergico di cinque dipartimenti dell’Ateneo afferenti a diverse discipline. Infatti, esso nasce dallo sforzo congiunto di quelle che possiamo definire le cinque anime di STITCH, che sono il Dipartimento di Informatica, il Dipartimento di Ingegneria Astronautica, Elettrica ed Energetica, il Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale, il Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione e il Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche ed Anatomo-Patologiche. Tuttavia, STITCH è un hub aperto e ricercatori e studiosi di altri dipartimenti che si riconoscono nella mission possono entrare a far parte a pieno titolo del mondo di STITCH.
Perché nasce questo progetto?
Per due ragioni fondamentali: in primis perché la sanità è cambiata e non può prescindere dalla tecnologia; secondariamente, perché c’era bisogno di un “luogo” in cui concretizzare l’incontro della medicina con l’intelligenza artificiale e più in generale con l’innovazione tecnologica. Va da sé come ciò richiedesse necessariamente una messa in campo di una profonda sinergia d’intenti e di programmi, oltre che di linguaggi comuni e interscambiabili tra loro, per svilupparsi in maniera stabile e strutturale.
Cosa ha spinto la Sapienza ha investire in un centro come STITCH?
STITCH si propone di essere la proposta della Sapienza di fronte alla digital revolution per una sanità sostenibile. Un’università generalista come La Sapienza ha il notevole vantaggio di avere al proprio interno molteplici competenze specialistiche; la stretta collaborazione tra dipartimenti d’informatica, di ingegneria informatica, di fisica, di matematica e di medicina crea quella massa critica oggi necessaria per rendere concreti progetti di largo respiro in grado di abbracciare una vasta gamma di tecnologie dell’informazione (network medicine, big data, realtà virtuale, intelligenza artificiale, robotica, etc.) e di proporre soluzioni innovative e competitive in campo sanitario.
Quale è la vision di STITCH?
Quando si è pensato di progettare un centro di ricerca all’avanguardia che guardasse al futuro dell’innovazione tecnologica nell’ambito della medicina, l’idea che ci proponevamo di superare è riassumibile in quattro parole: Healthcare is notoriously technophobic. Oggi come oggi, in una società come la nostra, non è accettabile in nessun ambito, ma ancor di più in quello della salute pubblica.
Cosa vi proponete di fare concreatemente in tale direzione?
Porre le basi per immaginare, disegnare e realizzare nuove tecnologie per una trasformative medicine. Per far ciò, bisognava innanzitutto mettere in relazione diversi punti di vista ed approcci di ricerca. E questo è stato fatto con la nascita di STITCH. Adesso, quello che bisogna fare è sviluppare ed incrementare processi di integrazione interdisciplinare tra ricercatori di differente estrazione che rispondano ai reali bisogni della salute. Si lavora insieme per costruire un linguaggio comune, per creare nuove discipline e, dunque, nuove figure professionali preparate alla medicina digitale.
Come è possibile integrare campi disciplinari così apparentemente distanti tra loro?
Beh, questo è il nodo della questione. Faccio un esempio pratico: il recente lancio della funzione ECG per gli Apple Watch è un’invenzione stupenda, all’avanguardia, moderna ma solo se la inseriamo in uno specifico contesto. Altrimenti rischia di essere un prodotto sterile, inutile, fine a sé stesso. Per far ciò bisogna, dunque, lavorare insieme per costruire un linguaggio comune, una nuova disciplina e nuove professionalità: la network medicine.
E questo approccio come si concretizza nel caso specifico di STITCH?
Questo si coniuga anche l’attenzione verso quella che viene definita come “medicina di precisione”. È in tale contesto, ad esempio, che si intersecano, da una parte, l’ideazione e lo sviluppo di nuove tecnologie sviluppate dai diversi settori di ricerca, non obbligatoriamente in ambito medico-sanitario, e, dall’altra, l’utilizzo delle risorse del clinical trial center al fine di testare e validare i dati prodotti dall’utilizzo di tali tecnologie. A ciò si aggiunge, anche il ruolo di STITCH quale supporto per la nascita di spin-off e start-up attraverso la creazione di joint venture tra la Sapienza e partners e stakeholders internazionali sia istituzionali come Centri di ricerca e Università, sia privati come aziende e industrie leader nel settore di riferimento, in un’ottica di internazionalizzazione della ricerca.
STITCH può rappresentare una risorsa per il futuro, non solo di Sapienza?
Certamente! Non si parla “solo” di mettere in campo le competenze di ognuno degli attori chiamati in causa in tale processo di cambiamento; ma, invece, di operare un vero e proprio ribaltamento di paradigma fondato su un sistema organizzativo e assistenziale patient-centered. È questa la direzione in cui si sta muovendo la ricerca scientifico-medica a livello globale, dunque, STITCH e la Sapienza non possono farsi trovare impreparati.
In chiusura, come possono essere riassunti i principali obiettivi di STITCH?
Innanzitutto, scoprire, disegnare e promuovere soluzioni innovative e competitive in campo sanitario con l’obiettivo di ottimizzare le strategie di cura e prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili (ad esempio il diabete, le malattie cardiovascolari, i tumori, etc.) e di diminuire i costi sanitari ed ottimizzare le risorse diagnostiche e terapeutiche. Secondariamente, identificare le migliori strategie atte a promuovere la personalizzazione della cura intesa come identificazione di armi terapeutiche e diagnostiche più appropriate per sottogruppo di soggetti o per singoli individui. Infine, promuovere strategie di monitoraggio clinico e cura “a domicilio” dei soggetti affetti da malattie croniche.