La risposta immunitaria a SARS-CoV-2 fra protezione e danno

La risposta immunitaria a SARS-CoV-2 fra protezione e danno

Maggio 2020 Off Di Giovanni Brancato

Ricciarda Galandrini, Stefania Morrone e Gabriella Palmieri
Dipartimento di Medicina Sperimentale

 

Il nuovo coronavirus SARS-CoV-2, causa di COVID-19, presenta un ampio spettro di morbidità: una minoranza degli individui infettati sviluppa una polmonite severa con distress respiratorio acuto, a fronte di quadri moderati, lievi o completamente asintomatici che si osservano nella maggioranza dei pazienti. Comprendiamo ancora poco le risposte immunitarie responsabili della risoluzione dell’infezione nei pazienti COVID-19 e, auspicabilmente, dell’instaurarsi di uno stato di protezione ad una nuova esposizione al patogeno. Le prime osservazioni dimostrano piuttosto che la deregolazione di alcuni circuiti immunitari sia alla base delle forme più severe responsabili dell’impatto sul sistema sanitario senza precedenti.

 

Risposte dell’immunità innata all’infezione da SARS-CoV-2

L’infiammazione è un processo necessario allo sviluppo di risposte immunitarie rapide ed efficaci mirate a contenere la replicazione virale; è orchestrata da mediatori biologici (citochine pro-infiammatorie, chemiochine, eicosanoidi, fra gli altri) principalmente prodotti dalla componente cellulare dell’immunità innata rappresentata da monociti-macrofagi, neutrofili, cellule dendritiche e linfociti Natural Killer (NK). Diversi studi hanno rilevato che la severità del quadro clinico nei pazienti COVID-19 correla con la presenza di una profonda alterazione delle risposte innate. I pazienti con distress respiratorio presentano la cytokine release syndrome, ossia uno stato di iperinfiammazione dovuta a ipercitochinemia (cytokine storm). Livelli elevati di diverse citochine e chemiochine pro-infiammatorie (in particolare IL-6) si associano all’aumento degli indici sistemici di infiammazione e dei marcatori di uno stato ipercoagulativo. La cytokine storm è responsabile del quadro immunopatologico polmonare caratterizzato da infiltrato infiammatorio massivo, apoptosi, danno endoteliale, edema, microtrombi; inoltre, inducendo instabilità endoteliale e uno stato trombofilico, si ritiene che essa contribuisca all’interessamento di altri organi e distretti (cardiovascolare, renale, cerebrale), che si registra in una quota dei casi severi di COVID-19. Si ritiene che le stesse cellule dell’epitelio respiratorio infettate amplifichino il circuito infiammatorio, attraverso la produzione di citochine e chemiochine a loro volta responsabili del reclutamento di cellule mieloidi. La cytokine storm e la sindrome da distress respiratorio caratterizzano anche la sintomatologia dell’infezione da SARS-CoV e MERS-CoV (responsabili di epidemie nel 2002-2003 e nel 2012), dove si osservano alterazioni nella produzione e nella risposta agli interferoni di tipo I, importanti citochine ad attività antivirale. Nell’insieme, tali osservazioni hanno portato a sperimentare l’efficacia di farmaci biologici, già in uso nel trattamento di malattie immuno-mediate, per antagonizzare l’effetto delle citochine infiammatorie nelle forme gravi di COVID-19. Risultati incoraggianti sono stati forniti dall’impiego del Tocilizumab, un anticorpo monoclonale che antagonizza il recettore per IL-6; tali studi pilota hanno stimolato l’avvio di sperimentazioni su larga scala. Altri approcci basati su strategie che antagonizzano IFN-, TNF- IL-1 o enzimi della famiglia JAK, già utilizzati in patologie su base infiammatoria (HLH, MAS), sono in fase di studio. Infine, ancora sconosciuto è il ruolo dell’altro protagonista delle risposte innate antivirali, i linfociti NK, nel controllo dell’infezione da SARS-CoV-2. Alcune sporadiche evidenze riportano una diminuzione delle cellule NK circolanti, nel contesto di una generale linfopenia che si accompagna alla gravità della sintomatologia clinica.

 

Risposta dell’immunità adattativa all’infezione da SARS-CoV-2

Si ritiene che la deregolazione della risposta innata abbia un forte impatto sullo sviluppo delle successive risposte adattative a SARS-CoV-2 e quindi sulle funzioni mediate da linfociti T e B. La gravità del quadro clinico correla strettamente con la profonda riduzione dei linfociti T circolanti (sia CD4+ che CD8+) che mostrano un profilo fenotipico e funzionale alterato dove coesistono marcatori di attivazione e di esaurimento funzionale. La linfopenia T dipende probabilmente da un’accelerata morte delle cellule iperattivate, e dall’aumentato reclutamento nel sito d’infezione, come suggerito dall’abbondante presenza di linfociti T nell’infiltrato polmonare; qui essi amplificherebbero e perpetuerebbero l’attivazione deregolata dei fagociti, contribuendo al danno infiammatorio. Informazioni sulle risposte immunitarie specifiche nei pazienti con un decorso della malattia lieve o asintomatico sono ancora molto preliminari o assenti. Infine, non è ancora chiaro se e quali popolazioni leucocitarie possano essere produttivamente infettate da SARS-CoV-2; questo tema può essere rilevante per comprendere da un lato la capacità del virus di contribuire direttamente all’eliminazione di componenti cellulari del sistema immunitario e, dall’altro, potrebbe essere coinvolto nella capacità del virus di colonizzare distretti diversi dall’apparato respiratorio (ad esempio il compartimento gastro-intestinale).

 

Gli anticorpi nell’infezione da SARS-CoV-2

La conoscenza della risposta anticorpale anti-SARS-CoV-2 è di estrema importanza, per integrare l’iter diagnostico e per monitorare correttamente la diffusione dell’infezione nella popolazione; gli anticorpi, inoltre, possono rappresentare un correlato importante della protezione post-infezione o in seguito alla vaccinazione. Come in altre infezioni virali acute, anticorpi IgM e IgG appaiono alcuni giorni dopo l’insorgenza dei sintomi da COVID-19, ma la loro persistenza dopo la guarigione è ovviamente ancora ignota. Alcuni anticorpi hanno capacità neutralizzante nei confronti di SARS-CoV-2, attività fondamentale nella gran parte delle infezioni virali per l’eradicazione del patogeno e per l’instaurarsi della protezione ad una successiva esposizione. Queste evidenze hanno condotto all’utilizzo, in via sperimentale, del plasma immune (ottenuto da individui guariti e contenente anticorpi), con risultati incoraggianti, sebbene ottenuti in un numero limitato di pazienti gravi; inoltre, diverse industrie farmaceutiche stanno sviluppando anticorpi monoclonali neutralizzanti, quale strategia di immunizzazione passiva. Ad oggi la capacità protettiva degli anticorpi anti-SARS-CoV-2 non è stata definita: per contro alcuni studi hanno correlato gli alti livelli anticorpali alla severità di malattia, in analogia a quanto precedentemente osservato nell’infezione da SARS. La valutazione rigorosa della cinetica e dell’entità della risposta anticorpale nei pazienti con quadri lievi o asintomatici o in quelli che presentano cinetiche di negativizzazione virale estremamente lente, contribuirà a dare una risposta sulla reale capacità protettiva degli anticorpi.

 

Come potenziare la risposta immunitaria anti-SARS-CoV-2?

Molti enti di ricerca pubblici e privati, anche coordinati in iniziative consortili transnazionali, stanno attivamente lavorando per sviluppare vaccini per SARS-CoV-2, attraverso un’ampia varietà di approcci, piattaforme e modalità. Questo sforzo globale ha anche portato ad una riorganizzazione/contrazione delle tradizionali fasi di sviluppo e validazione vaccinale, tanto che per almeno cinque vaccini è già iniziata la sperimentazione clinica di fase I. Dato che i meccanismi immunitari che conferiscono protezione dall’infezione sono ancora quasi totalmente sconosciuti, non è chiaro se la strategia vincente sia rappresentata da vaccini capaci di indurre anticorpi neutralizzanti, o se piuttosto puntare su una vigorosa risposta dei linfociti T citotossici; inoltre, la durata della protezione immunitaria (da infezione naturale o vaccinazione) è ancora ignota.

La conoscenza delle risposte immunitarie a SARS-CoV-2 è fondamentale per elaborare strategie terapeutiche volte a potenziarne l’efficacia e per mitigare il contributo patologico della loro deregolazione. Fornirà inoltre informazioni rilevanti a comprendere lo spettro di morbidità e la differente suscettibilità in categorie demografiche differenti, ad esempio l’apparente minore gravità dell’infezione nelle donne e nell’età pediatrica, l’aumentata suscettibilità legata alla gravidanza, all’età, o a co-morbidità accomunate da una sottostante condizione infiammatoria cronica che caratterizza, insieme all’immunosenescenza, il processo di invecchiamento (inflammaging). Importanti studi di system biology hanno dimostrato come fattori genetici e ambientali impattino sull’efficienza delle risposte immunitarie individuali. L’osservazione di una relativa resistenza al SARS-CoV-2 in paesi con ampie coperture vaccinali anti-tubercolosi, o nell’età pediatrica, nella quale si concentra la gran parte delle vaccinazioni, suggerisce che i vaccini possano promuovere un potenziamento ad ampio spettro delle funzioni immunitarie su base epigenetica (trained immunity) e/o innescare meccanismi di protezione crociata fra patogeni.