Le due malattie di Covid-19

Le due malattie di Covid-19

Maggio 2020 Off Di Giovanni Brancato

Gerardo D’Amico
Responsabile informazione scientifica Rainews24

 

Il SARS-CoV-2 di malattie a livello planetario ne ha causate due: una che ha ucciso esseri umani devastando la loro organizzazione sociale e l’economia, l’altra che rischia di segnare per molto tempo la scienza, avendone intaccato il metodo su cui si fonda.

Da una parte Covid-19, dall’altra quella che è stata chiamata infodemia, che però non riguarda solo i destinatari di questo eccesso di informazione, lettori e telespettatori inondati da notizie non sempre verificate, messe in pagina col copia incolla del comunicato arrivato in redazione o transitate dal web al flusso mainstream senza un controllo, un ragionamento basato non dico su conoscenze specialistiche ma almeno sul buonsenso: protagonisti e vittime di questa informazione parossistica sono stati molti ricercatori, medici, epidemiologi, statistici e chiunque avesse qualcosa a che fare o da dire sul Covid-19, e a causa del virus è diventato smanioso di farlo sapere. Immediatamente.

Le fake news ci sono sempre state e da almeno quindici anni, con l’affermazione dei social, sono pane quotidiano per una massa imponente di persone: dalla politica alla salute all’alimentazione non c’è campo che non se sia stato toccato. A caccia di voti, di click su banner, o per vendere pseudocure. A quelle eravamo abituati. L’aspetto inedito, emerso con questa pandemia, è stato l’atteggiamento di certi ricercatori e medici che per la prima volta nella storia hanno avuto un palcoscenico quotidiano e diuturno, per esprimersi. Giornali, tg, radio, dirette social: ovunque si è parlato solo di coronavirus, ovunque c’era un “addetto ai lavori” che diceva la sua. Usciti dalla torre d’avorio o dall’anonimato, non hanno più smesso di confrontarsi, offrire ipotesi, affermare soluzioni: un bailamme che seppur giustificato dalla fame di notizie per una emergenza mondiale che nessuno si aspettava, alla fine ha fatto danni ingenti, che purtroppo resteranno come cicatrici per il nostro futuro. Perché del SARS-CoV-2 in un modo o nell’altro ci scorderemo: o perché addiverrà a più miti consigli, come l’altro virus pandemico H1N1 che si è trasformato in influenza, o perché metteremo a punto un farmaco o un vaccino. E come per altre malattie curabili o prevenibili, riuscirà a dispiegare i propri danni solo su chi è troppo povero per curarsi o troppo stupido per vaccinarsi.

Quello a cui il metodo scientifico ha dovuto assistere in questi mesi invece resterà come un vulnus speriamo non indelebile, certo è che farà danni per chissà quanto tempo e per generazioni.

“Studi” pubblicati preprint e spacciati come evidenze scientifiche, osservazioni su una corsia di malati che si sono trasformate in messaggi whatsup subito ripresi e rilanciati sulla stampa come soluzioni terapeutiche, personaggi senza alcuno spessore invitati in prima serata a spiegare come i morti della Lombardia derivassero dalle vaccinazioni antinfluenzali, che il virus si propaga negli ambienti inquinati attraverso le polveri sottili, che dietro questa pandemia c’è un gruppo di scienziati pazzi che hanno farcito il SARS-CoV-2 con l’HIV no, anzi, hanno venduto al mercato di Wuhan i pipistrelli infetti per farci il brodo, dato che in Cina i ricercatori sono pagati poco, ed altre amenità : l’emergenza sanitaria ha prodotto anche queste aberrazioni, che minano alla base la modalità che distingue la scienza ed il suo metodo dagli azzeccagarbugli ed i loro preparati.

Perché se è un disk jockey ed una soubrette in pensione a scagliarsi contro i vaccini ci si può anche ridere su, seppur amaramente: ma se sono medici e ricercatori nel pieno esercizio delle loro funzioni a consigliare di assumere vitamina C o D o mangiare pizza per sconfiggere il coronavirus, la storia è diversa.

La gente non sa più a chi e a cosa credere, monta l’indignazione per l’ignoranza colpevole di chi non ci aveva pensato prima, che non serve a niente intubare un malato dato che basta una bella iniezione di enoxieparina e quello torna come nuovo. E dei miracoli della idrossiclorochina, vogliamo parlarne? Una regione italiana ha persino annunciato di voler avviare la sperimentazione di un farmaco antinfluenzale ritirato dal mercato, in Giappone, per i suoi effetti teratogeni. La base “scientifica” era un video diventato virale sui social, postato da un farmacista per caso. Ed il bello è che l’Agenzia Italiana per il Farmaco prima ha messo in guardia contro le bufale, il giorno dopo ha detto che sì, quel farmaco tutto sommato si poteva provare.

Per non dire degli annunci sui vaccini: più di 100 in giro per il mondo, tutti a dare date. “Entro” l’estate no entro l’anno, al massimo entro il prossimo. Senza avere in mano neppure uno studio pubblicato sull’efficacia neutralizzante di anticorpi visti in provetta.

E poi, il business dei tamponi prima, dei test sierologici poi, con le Regioni che hanno acquistato milioni di pezzi validati non si sa da chi, prodotti meno affidabili del lancio testa o croce di una monetina.

Questa epidemia ci ha anche raccontato come la nostra sanità più ricca ed attrezzata sia capitolata in dieci giorni, davanti all’emergenza: e come i contagi abbia contribuito a crearli ed amplificarli proprio la rete ospedaliera.

Non sono serviti tutti i Da Vinci che abbiamo accumulato in Italia, siamo primi in Europa, le nostre adroterapie, tutte le nostre risonanze di ultima generazione: non avevamo ventilatori polmonari, e passi perché non capita tutti i giorni di dover intubare migliaia di persone.

Quello che è grave è che non avevamo piani pandemici, sono rimaste sulla carta le indicazioni di gestione del rischio, si sono minimizzati i danni solo dove la sanità territoriale era più forte o dove per fortuna il virus non ha fatto a tempo ad arrivare.

Pagando il prezzo altissimo di deceduti per la pandemia, quelli registrati nell’elenco funebre della protezione civile, ma chissà quanti altri sono morti per tutte le altre patologie che all’improvviso è stato come non esistessero, un po’ perché tante prestazioni “non essenziali” sono state sospese un po’ per la paura dei malati di andare in ospedali diventati campi di battaglia attrezzati principalmente a combattere il Covid-19.

Si è dimezzato il numero di infarti visti nei nosocomi, e il sospetto è che non sia stato un miracolo ma la scelta rischiosa dei malati, visto quello che stava accadendo. Meglio sperare di scamparla col cuore malmesso che esporsi alla probabilità di infettarsi durante le cure.

All’inizio di una emergenza è normale che saltino protocolli e servizi, è persino ovvio che si tentino strade terapeutiche mai esplorate, ma non è accettabile che in un Paese che voglia restare nel consesso di quelli più sviluppati non si torni rapidamente a regole precise, e a rispettare una sintassi scientifica che per molti aspetti ancora appare perduta.

Il mondo della ricerca è già pieno di truffatori che usano Photoshop per giustificare le loro affermazioni, proprio non si sente il bisogno di stabilire che correlazioni o semplici osservazioni possano guidarci nella cura delle persone, sostituendosi alla medicina basata sulle evidenze.